Carolina dei delitti by Lia Celi

Carolina dei delitti by Lia Celi

autore:Lia Celi [Celi, Lia]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, Crime, Mystery & Detective, Historical, Thrillers
ISBN: 9788831018692
Google: iP3BEAAAQBAJ
Amazon: B0C5JGYXGW
editore: Salani
pubblicato: 2023-05-30T22:00:00+00:00


Capitolo 18

6 maggio 1911

L’intervento del magistrato [negli internamenti in manicomio]

non rappresenta un presidio, una tutela, ma un pericolo,

un’insidia, ottenendosi di coprire con la sua sanzione

incosciente l’abuso e forse la frode e di renderne

quindi assai più difficile la scoperta e l’incriminazione.

Luigi Lucchini, discussione in Parlamento della legge Giolitti-Bianchi sul trattamento degli alienati, 1904

La telefonata con cui Gina Lombroso mi annunciava di aver trovato il modo per farci entrare nell’ospedale psichiatrico di via Giulio è arrivata già iersera. Non so se sono pronta a conoscere i misteri dolorosi cui mi ha accennato la signora Brusa. Mia sorella invece non sta nella pelle e non fa nulla per nasconderlo. «Ho visitato tanti cimiteri e ospedali, ma non ho mai messo piede in un vero manicomio» gongola, mentre si prepara per l’appuntamento con la dottoressa Lombroso. «Quale cappello è più adatto all’occasione, secondo te? Vendetta di una pazza o La maledetta?»

«Né l’uno né l’altro» replico secca. «Gina Lombroso ci ha raccomandato un abbigliamento sobrio. Colori sgargianti e cappelli vistosi potrebbero eccitare le ricoverate. Molte di loro non indossano un abito o un cappello da anni. Solo camicione e ciabatte, estate e inverno».

Mi guarda risentita: «Con tutta la stima per la dottoressa, non intendo vestirmi da ricoverata anch’io». Sorride alla sua immagine e si punta sui capelli Vendetta di una pazza, una graziosa toque grigia, ornata con una ghirlanda di lillà e un ciuffo di piume viola.

Pochi minuti dopo siamo sul tramvai della linea del Valentino, che ci porta fuori dalle vecchie mura, in via della Consolata, che incrocia via Carlo Ignazio Giulio. Al famigerato numero 22 ci arriviamo a piedi, costeggiando un alto muro sormontato da spunzoni di ferro. Dalla strada si direbbe un ospedale come gli altri – un lungo, severo fabbricato a tre piani a forma di quadrilatero, circondato da un parco – senonché tutte le finestre, anche quelle del pianterreno, sono munite di sbarre.

Il cancello principale è presidiato da due tozze garitte di mattoni, custodite da occhiuti guardiani. All’esterno di una delle due casette un passante in vena di spirito ha scritto col carbone ‘Benvenuti all’Albergo dei Due pini’, alludendo agli alberi che svettano davanti alla scalinata dell’ingresso. Non rabbrividirei di più se vi leggessi ‘lasciate ogni speranza o voi ch’entrate’.

Carolina invece ha un’aria quasi delusa. «Sembra tutto così tranquillo. Non sento ululati ferini né risa isteriche».

«Non tema, signora Invernizio, avrà il suo concerto». Gina Lombroso, in abito a giacca blu scuro e a capo scoperto, è sopraggiunta alle nostre spalle. La sua voce è carica di sarcasmo. «Qui davanti ci sono solo gli uffici e la prima accoglienza. I reparti e i cortili sono sul retro. Uhm. Le avevo consigliato un cappello meno vistoso».

«Oh, via, è una cosuccia senza pretese» replica mia sorella, «non darà fastidio a nessuno».

«Io l’ho avvertita» taglia corto lei. «Tenetelo a mente: al dottor Marro ho raccontato che sto proseguendo gli studi di mio padre sulle malattie mentali, e voi siete due dottoresse tirocinanti che collaborano alla mia ricerca. Lasciate parlare me. Se vi smascherano come



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